Per chi non ne avesse mai sentito parlare, il Cristo Velato è una delle sculture più famose al mondo per quanto riguarda il patrimonio artistico italiano.
Custodita nel Museo della Cappella di San Severo a Napoli, è visitata ogni anno da milioni di turisti (la cifra è vaga per il semplice motivo che essa aumenta di anno in anno) e deve la sua fama non solo alla sua indubbia bellezza, che la rende unica nel suo genere, ma anche ad una certa dietrologia sviluppatasi nei secoli riguardo la tecnica utilizzata. Si sa, Napoli è una città ricca di tesori, ma anche di misteri, segreti e leggende.
La storia
Il Cristo Velato fu commissionato da Raimondo di Sangro, principe di San Severo, allo scultore napoletano Giuseppe Sanmartino, il quale realizzò l’opera nel 1753 per un compenso di 50 ducati.
Nella lettera spedita dal principe allo scultore in cui viene menzionato il compenso, si fa esplicito riferimento al velo, il quale doveva essere scolpito sullo stesso blocco di marmo usato per il corpo di Cristo e le dimensioni dovevano essere quelle di un corpo a grandezza naturale.
Il merito dell’artista è senza dubbio quello di essere riuscito a riprodurre la sofferenza patita da Gesù durante la crocifissione attraverso i segni e le espressioni sul volto e sul corpo, sebbene essi siano coperti dal velo, il quale ha certamente contribuito al fascino dell’opera per via della meticolosità con cui è stato scolpito, risultando perfetto perfino nelle grinze del tessuto, le quali mitigano un’immagine che altrimenti sarebbe stata troppo cruda e forse non sarebbe stata apprezzata come invece merita.
Proprio la realizzazione del velo, è stata il motivo della nascita di diversi miti riguardo la tecnica usata.
La leggenda
Si sa che Raimondo fosse un noto alchimista e molte sono le invenzioni ad egli attribuite. Vale la pena citare i suoi modelli anatomici, il lume perpetuo, la riproduzione del miracolo di San Gennaro, la carrozza marina e la riproduzione di diverse pietre e gemme preziose del tutto identiche a quelle originali. Molte sono anche le storie macabre che circolano sul suo conto (si dice, ad esempio, che abbia accecato lo stesso Sanmartino per evitare che egli ricreasse la scultura per qualcun altro) e ovviamente il Cristo Velato non può esserne esente: per secoli sono circolate due ipotesi riguardo una fantomatica tecnica di alchimia utilizzata dal principe per trasformare i tessuti in cristalli di marmo, ottenendo così la marmorizzazione del velo, che sarebbe stato posto, secondo una prima congettura, dopo la realizzazione del Cristo da parte di Sanmartino. Decisamente molto più noir la leggenda secondo cui il corpo di Cristo non sia altro che il cadavere reale di un servo del principe, ricoperto poi da un velo e successivamente marmorizzato secondo una tecnica misteriosa, lasciando al Sanmartino il solo compito di scolpire il letto su cui giace il corpo e gli strumenti del supplizio.
La realtà
Numerosi studi sono stati effettuati sulla scultura, se non altro per capire la tecnica utilizzata e come sia stato possibile raggiungere un tale livello di accuratezza.
Numerose analisi degli scienziati hanno confermato, comunque, che si tratta di un unico blocco di marmo e che l’intera opera sia frutto di Giuseppe Sanmartino, concordando con il parere di diversi artisti conteporanei al principe Raimondo: emblematica fu la frase pronunciata da Antonio Canova, il quale affermò che avrebbe dato dieci anni della sua vita, pur di essere l’autore di un simile capolavoro.
In ogni caso, a prescindere dalla tecnica utilizzata e dalle leggende che quest’opera porta con sé, il Cristo Velato occupa un posto importantissimo nella cultura italiana e napoletana.